lunedì 4 giugno 2007

Leggo, con sempre maggior interesse, i romanzi di Joseph Roth. Vissuto nell'epoca definita Finis Austriae, non si avvale solo del languore decadente di una società al tramonto, più forte di lui in questo è Hofmannsthal, ma accenta con crudezza il periodo della Repubblica di Weimar, feroce, dilaniato, così ben descritto anche in Canetti (al momento della dipartita di tutta la famiglia verso Francoforte): il cambio che oscillava di giorno in giorno, la povertà dilagante, i cortei, gli scioperi, le vessazioni e la voglia di riscatto. Tutto mescolato alla rassegnazione dei reduci, degli sfiniti, di quanti han smesso di porsi domande e di voler continuare, reagire. Allora qui scatta il lato decadente anche in Roth. Quel senso di sfinimento, di umanità gettata alle ortiche. Per poi risvegliarsi, in mezzo ai cortei, dopo un lungo letargo, con più forte il desiderio di rinascita e di vita onesta e sana per tutti. Onestà nel vivere significa per gli umili di Roth poter godere del giusto che la vita dovrebbe riservare. Come vengono annullati i tentativi di quanti esigono affermarsi a discapito dell'umanità, come finisce tutto in fumo, bruciato o azzerato da un improvviso rovescio di fortuna. Roth è dalla parte dell'umile e di chi ha raschiato il fondo nella sua vita.