lunedì 28 maggio 2007

Oggi piove, sabato è passato il Giro da Bergamo tra squarci di sole e minacciosi accumuli nuvolosi. Impazzano le previsioni per l'estate, calda, caldissima, come il famigerato 2003, mite, temperata...annoto qui, al fine di ricordarmelo fra qualche mese, il meteo di questo periodo: siamo passati in breve dal caldo sui trenta gradi a milano (venerdì) al clima autunnale di oggi. I prati e i campi sono già in versione tardo estiva. Il secco dilaga allegramente. Inutile chiedersi cos succederà. Ipotizzo una salita al Monte Bianco mettendo i ramponi forse solo alla Capanna Vallot. Chissà quando ci si salirà come saranno le condizioni. In campo alpinistico si rumoreggia come in tutti gli altri aspetti della vita societaria, chi viene additato a Maitre à penser sguazza nelle pubblicità scalando fantomatiche pareti, travolto da improbabili slavine e scoprendo fonti purissime... A Bergamo l'anziano, se lo è anziano, Bonatti incontra, ed è una ferita forse sanata, il presidente del Cai locale (Valoti Paolo). Non si dimentica degli affronti subiti ormai 50 anni fa, ma abbraccia i suoi concittadini orgogliosi di seguire una ormai antica tradizione alpina. C'è da dire che non hanno avuto, le Orobie, il successo alpinistico delle altre zone: quando scorazzavano gli inglesi per le valli aostane e piemontesi (nonchè trentine e altoatesine), la zona lombarda non era in gran considerazione, se non per le maggiori cime valtellinesi. E' un po' quanto accaduto alle altrettanto selvagge montagne della Carnia e del Tarvisiano. Lasciate a se, amate da locali cultori e affascinati romantici (un nome per tutti: Kugy). Ora si scopre in orobia la natura lasciata libera e serena, accanto alle località di maggior sfruttamento turistico. E' innegabile: dove c'è l'uomo cittadino che investe la natura perde il suo fascino e avanza il cemento. Altrimenti queste valli sarebbero rimaste come le vicine: selvagge, deserte e disabitate. Intuile fasciarsi il capo, lo sci ha portato benefici, ora sta alla discrezione dell'uomo di non esagerare nel costruire e ingigantire comprensori dove si sa bene è inutile investire. E' questione di buon senso. Accanto è bello scoprire valli lasciate come "un tempo" e perdersi nel camminare tra queste. Il bello del girar per monti è che siamo noi a scegliere dove andare e cosa vedere. Nessuno impone alcunchè. E il godimento di panorami dolci, ampi, silenziosi è il maggior premio per una vita altrimenti costretta nei canoni della frenesia quotidiana.

mercoledì 16 maggio 2007

Verismo slavo


Ieri sera per l'ultima replica scaligera. L'opera, di cui non avevo mai ascoltato una nota, mi è persa una novella di Verga trasportata in terra morava. Con tutto il suo corollario di superstizione mistico religioso morale unito a leggi ferree dai cui non si può prescindere, di cui forse Ivo Andric nel suo Ponte sulla Drina ha dato l'espressione più chiara. Il rispetto assoluto e totale per personaggi forti, duri, a cui occorre esclusivamente sottomettersi serpeggia per tutta l'opera. Opera di donne, in cui gli uomini fanno una figura tra il meschino e il babbione. Opera sull'educazione, sulla famiglia, sui rapporti interni, intimi, dello stretto nucleo, segreto tra le mura. Il tutto sorretto dalla musica più strana che mi sia capitato di ascoltare in un'opera. Voce e orchestra si fondono con piani diversi. Orchestra coloratissima, peraltro, dove la tavolozza timbrica sprigiona un senso di arcaica natura, il ciclico ritmo della vita "contadina", l'ineluttabile fato, il color locale, stavolta non sparso per onor di folklore, bensì come necessario, indistricabile dal soggetto. Per cui anche il finale, malinconico, amaro, tristemente rappacificante, si tinge di suoni crepuscolari e popolari, quasi a sentir odor di fieno nell'aria e il ruotare della pala del mulino. Sui cantanti direttore coro e orchestra mi allineo con quanto letto finora: Silja con problemi vari sulla zona acuta e spesso non udibile nel registro grave, Magee molto brava, sforzato ma calzante Dvrosky e con ottimi risultati tutti gli altri. Bene coro e orchestra, violino solista impegnato qua e là in dolcissimi accompagnamenti al canto (bravissmo e dal suono brunito), molto impegnati gli ottoni, splendido l'uso che ne fa Janacek, e bravo il direttore pur senza forse quello scavo maggiore nella timbrica e nella tensione drammatica che ci si potrebbe aspettare. Mi pare che abbia più spinto sul tono elegiaco - malinconico - ineluttabile invece che entrare direttamente nella vicenda sforzando le dinamiche. La regia, sobria, attenta a descrivere i moti dell'animo senza inutili sprechi sia di movimenti che di scene. Buon successo di pubblico con varie chiamate e applausi festanti al termine dello spettacolo. Teatro discretamente pieno e numerosi stranieri estimatori del vino italico in galleria.

venerdì 4 maggio 2007

Melodie d'infanzia


Sarebbe bello riuscire a descrivere quali emozioni l'ascolto musicale dia. Sin da bambino le note, in quelle particolari successioni, pareva mi trasportassero, senza nemmeno osar oppore resistenza, in un racconto senza successione di stati. Ascoltavo e mi pareva fosse una voce lontana, anziana, saggia che parlasse. Molte musiche mi lasciavano una impressione debordante, come se un immenso racconto, un'epopea fosse terminata. Così l'ascolto di una sinfonia, l'ascolto di una sonata, l'ascolto di un'opera. Nell'opera, quanto più mi colpiva erano gli scontri, scontri di personaggi, scontri titanici di voci, scontri destinati a risolversi nell'amore o nell'odio. I duetti, le grandi scene dove i personaggi mettevano a nudo i loro stati d'animo. Più delle scene corali, più delle arie singole era nei duetti, nei pezzi d'insieme che mi sentivo trasportato sin nel cuore dell'opera e nella mente del compositore. Poi crescendo queste sensazioni pensavo si sarebbero affievolite. Invece ciò non avviene, le sinfonie, i quartetti, le sonate, i timbri (organo, legni, fiati, percussioni, tastiere) mi parlano ancora come singole voci, come un lungo immenso racconto, una fiaba ripetuta più volte. Si dipana alla mente la partitura, si apre chiara ed evidente la successione di note. E torna, sempre, con serafica compostezza, il fascino di quel dialogo nascosto, intimo e profondo, che pare risalga a tempi e spazi fuoriusciti dal nostro vivere terreno.