giovedì 28 dicembre 2006

Il presepe


I bambini che rimangono silenziosi e stupiti di fronte al presepe, immobili e rapiti dalla magia statica di pecore, asini, buoi, santi e pastori inginocchiati, sono un po’ come il popolo, o meglio il susseguirsi di popolazioni che da due millenni rivive la nascita di Gesù attraverso i riti e le celebrazioni.
Se oggi si festeggia il Natale nel giorno del 25 dicembre, attorno a quella data, all’epoca della nascita di Gesù, si festeggiava il rito della Luce e poco prima i bambini romani preparavano cibo e bevande da offrire ai propri avi defunti, modellando con statuette di terracotta i Lari, cioè i propri cari scomparsi. L’indomani le statuette, poste in una nicchia, lasciavano doni ai bambini e promettevano protezione per tutto l’anno alle famiglie.
Trascorso qualche secolo, attorno al 350 d.C. già si iniziarono ad allestire presepi o rappresentazioni davanti alle chiese più importanti delle città. Sino a giungere al Santo Francesco che volle imprimere con la Sua forza carismatica, tutta l’importanza al presepio vivente. Si era, probabilmente, nel 1223. E da allora, sino ad oggi, non c’è paese, borgo o quartiere che non si raccolga festoso, ma esitante, affascinato e stupito intorno ad un presepe.
E’ uno scenario bucolico e sereno quello che si costruisce, bucolico come l’ambiente ricreato dai bambini romani duemila anni fa, bucolico come le terre umbre di San Francesco e popolare; le statue sono rappresentative di un gruppo sociale che viveva della fatica quotidiana, pesante e gravosa della terra: i pastori, tra i quali nasce Gesù. Gli stessi pastori ai quali San Francesco spiegava il Vangelo, le stesse persone semplici alle quali a lungo parlò Gesù Cristo.
Il Bimbo in Chiesa è posto sul fieno durante la Messa di Mezzanotte, tutti osservano in silenzio il rito semplice. Nelle case spesso il bambino appare nella notte di Natale, oppure nasce insieme al presepe e si ricordano i giorni in cui passare davanti al mobile con tutto preparato aveva una magia e un fascino del tutto particolare: non si giocava col presepe, non era un divertimento e nemmeno qualcosa di nostro; di solito il papà costruiva tutto e noi stavamo a guardare, eppure... Eppure aveva e ha ancora il fascino di una rappresentazione, c0me il fascino di un sipario che si alza, il fascino di porre piede in teatro e affacciarsi alle gallerie per osservare quanto avviene in scena. E da bambini, forse, questa è stata la prima volta in cui ci siamo trovati di fronte a una dolcissima rappresentazione.

mercoledì 27 dicembre 2006

Natale 2006

Riassaporate le feste natalizie, tra liturgia e famiglia. La festa del Natale da trascorrere insieme ai propri cari, nella tranquilla serenità che danno le ore pomeridiane attorno alla tombola, alla tavola, con qualche uscita in giardino per osservare la natura. Il volo delle cornacchie, il tranquillo zampettare dei merli, il pettirosso che curiosa tra le siepi e abbaiare di cani rendono insieme al rintocco festoso dai numerosi campanili quella quiete di cui si ha bisogno. E rimane così nei giorni a seguire una specie di pace interiore tale da far sembrare ancora più inutile tutto il rumoreggiare del mondo, il complicarsi per proprio sfizio la vita inseguendo non si sa bene cosa.

martedì 19 dicembre 2006

Due anni...

Ripensando a due anni di fidanzamento i ricordi sono legati a momenti, emozioni ed atmosfere particolari, alle piazze delle città attraversate insieme, da mano, a piedi, felici di essere li. Dalla nostra prima uscita a Brescia (Santa Giulia), poi a Genova per Donizetti, poi Firenze (e quasi non ci si credeva) sino alla follia di Roma, dormendo sul selciato di Castel Sant’Angelo. E l’indomani Via della Conciliazione, in una ventosa mattina di aprile… Poi altri giri, guidati da continui segnali di un’unione sempre più forte, sino alla prova di Santiago quest’estate. Ed è impossibile dimenticare i viali di Burgos, le piazze di Leon e l’alba nel silenzio delicato della meseta. Infine Bergamo e Milano, dove tante vie e angoli sono un ricordo continuo di tutto un vissuto, intenso, da due anni ad oggi. E senza dimenticare le montagne varcate, le sciate in Val Seriana, ai Piani di Bobbio, a Chiesa…la minuscola Valzurio in primavera e lo splendore orobico del Curò e di Fiumenero. In ogni momento in due, vicini, facendoci forza o entusiasmandoci per ogni cosa e felici solo di essere li insieme. E vedere negli occhi di chi si ama la serenità...

martedì 12 dicembre 2006

Su Bergamo e altre impressioni

Dopo la prima scaligera e successiva replica con uscita plateale di scena del tenore Alagna si sono scatenate le polemiche già immaginabili all’origine. Pare sia un rituale proprio del teatro milanese quello di essere attorniato da isterismi ogni qual volta ci sia un titolo di repertorio.

Città Alta, su cui si annidano strati diversi di cultura, la si potrebbe leggere come un libro, un manuale di storia e architettura. Dove, nella particolarità del luogo, si è riuscito a conservare lo strato più antico, attorno all’anno Mille, sovrapponendo ai resti romani tutta la costruzione medievale, rinascimentale sino a quella sette-ottocentesca. La facciata di Santa Maria Maggiore tra romanico e medievale, la piazza Vecchia col neoclassico della biblioteca frontale al Palazzo della Ragione mediovale, su cui Venezia si innesta alla serietà lombarda. E l’atmosfera propria, unica, introvabile altrove di legame con la terra, nella dimensione contadina e montana. Anzi contadinesca di montagna. In altre città si nota il rigore nella pulizia e nell’ordine, il gusto conservatoristico dei palazzi tirati a lucido, la bellezza della natura intorno. A queste, in Città Alta, si aggiunge la dimensione storica, città che non è rimasta bloccata in un’epoca voluta a posteriori, ma che ha saputo concrescere senza mai perdere di vista il quotidiano del lavoro sulla terra.

mercoledì 6 dicembre 2006

Sempre Montale


La pubblicazione dell’epistolario tra Montale e Irma Brandeis dà ulteriore conferma del carattere schivo e timorato del poeta. Già Montanelli raccontava delle riverenze ad ogni tipo di personaggio incontrasse al Corriere. Nel caso di Irma Brandeis, poi sublimata in Clizia, l’amore non riuscì a vincere l’altro legame, sicuramente diverso e del quale si sa quasi solo attraverso la poesia, con Drusilla Tanzi. Le minacce di suicidio, l’estremo attaccamento al poeta da parte di quest’ultima resero procrastinato all’infinito il tanto favoleggiato trasferimento americano. Decisa e forte, nell’unica lettera conservata, la risposta della Brandeis. Se Montale avesse trovato la forza, o la voglia, di andarsene, forse il suo corso poetico sarebbe stato diverso. Un Montale americanizzato come avrebbe osato trovare la possibilità di dubitare?

martedì 5 dicembre 2006

La Prima


Impazza, come sempre, l’attesa per la prima scaligera. Che si voglia o no rimane l’avvenimento più atteso dell’anno in ambito musicale. Discussioni circa l’originalità della regia zeffirelliana, gli acuti del tenore, le qualità del soprano e i tempi del direttore. Andando a rileggere cronache risalenti alla prima metà del ‘900 non si notano differenze sostanziali: cambiano, forse, solo le pettinature e gli abiti delle dame. Alcune, per altro, ancora presenti e arzille nonagenarie. Ci si domanda sul futuro della Scala e dell’opera in generale. Un gustoso e acuto articolo di Massimo Mila, datato sul finire del 1945, riassume quali siano i problemi legati al teatro d’opera: le voci, la scuola, il vivaio di giovani e le regie costose. Dov’è il rinnovamento, sempre che sia necessario? Un rimestare problemi di vecchia data, utile a riempire le pagine dei quotidiani.

Da un breve saggio sulla poesia di Rebora a cura di Mario Luzi si riallacciano le fila di una linea lombarda mediata attraverso Firenze. Il primo Novecento come fucina di quanto pian piano si è ampliato e diramato sempre più consapevolmente nello scorrere del secolo. Scaturigine ne è Firenze, città da cui passavano almeno per qualche mese gli artisti alla ricerca di un confronto su cui crescere. E poi Milano. Il futurismo, non solo preannunzio, travisato, del fascismo poi, ma anche rottura totale, lancinante che conserva della gioventù la forza di ribaltare l’esistente. Sino a riportare nella regione natia, o nella regione che più da possibilità di impiego, quanto assimilato dall’esperienza fiorentina. Anche per Montale vale lo stesso e non lo si immaginerebbe altrove, fuori dalla cerchia di via Bigli – via Solferino.

mercoledì 29 novembre 2006

Corsi e ricorsi

Letta una breve guida sulla Città Alta, di Bergamo. Riappare la Legione Tebea in merito al patrono S. Alessandro. Un evento che ha percorso l’Italia del Nord, lasciando tracce di martiri ovunque, martiri legati alle realtà contadine, montane. E poi, nella scultura del coro, splendido, di Santa Maria Maggiore, l’accenno alla devastazione di Roma nell’anno 1527. A riprova dello sconcerto e dell’impatto avuto sui cittadini italiani e immagino europei dell’epoca.

giovedì 23 novembre 2006

Riflessioni storiche

In televisione, ieri sera, la prima parte di un ricco documentario dedicato a Karol Woityla. Si ringrazia il cielo di non esser nati ai primi del ‘900, o comunque a cavallo delle due guerre. Le immagini che dovrebbero rimanere a perpetua memoria di fatti da cui non si può prescindere: i campi di concentramento tedeschi, le fosse rigurgitanti cadaveri, la devastazione dei ghetti. Anziani, adulti, bambini dallo sguardo terrorizzato e senza futuro. La bocca chiusa, senza possibilità di poter protestare. E’ l’assenza di suono che colpisce in quei filmati, lontano dal caos rivoltoso sull’ala di speranze legittime appartenente ai successivi anni Sessanta, Settanta. Allora non potevano. Lo sguardo glaciale dei gerarchi e gerarchetti nazisti, trionfalmente glaciale, sprezzante. E il volto ebete di colui che ha guidato la Germania al disastro. Montanelli ipotizzava di nascondersi sotto la scrivania di Hitler e Stalin per capire come hanno fatto a compiere tante nefandezze e a gestire il mondo per anni. Capire il perché di quei momenti è impossibile. Così come seguire tutto lo svolgersi di trattative, alleanze, patti, più o meno segreti. Rimane l’impressiona di insondabilità delle menti umane, del perché di tanta violenza. E gli sguardi muti dei ghetti.

mercoledì 22 novembre 2006

Atmosfere


Sempre sulla nostalgia dei posti e dei nomi. Appare alla mente qualche nome spagnolo. Del Cammino…Villadangos del Paramo, Hontanas con la sua banalissima discesa in condizioni normali ma che è parsa una lunghissima e impraticabile pista per i nostri piedi martoriati. E poi Castrojeriz, Leon, Burgos, Terradillos…ad ogni nome si associano sensazioni disparate, piccoli istanti. Uno sguardo tra Chiara e me, un silenzio, una pietra, un suono…i profumi della Spagna e le luci, diverse e più intense. I tramonti come non li si è visti qui al nord Italia, tramonti di luce intensa e tersa. Il sole stesso sulle pietre chiare delle case e delle chiese. Una luce e un taglio più vivido, anche per la mancanza di umidità tipica alle nostre latitudini.
Differenti al silenzio e alla quiete che avvolgono i colli di Bergamo nell’autunno. La Città Alta, forse unica nel conservare così riuniti i caratteri contadini a quelli propri di un importante capoluogo. Solo arrivare a Porta Sant’Agostino: la vista si apre sulla pianura cinta dai colli. E, sopra, verso la città ecco gli orti, le vigne miste alle pietre secolari di antichi palazzi. Poi si risale. Piccoli vicoli e dalle finestre, alla sera, illuminate le stanze dai soffitti affrescati. Non c’è ostentazione, ma un pratico pudore avvolge tutta la bellezza della città. Come dire che da sempre è così, per buon gusto, quasi schermendosi.

giovedì 16 novembre 2006

Harding a sorpresa

Si inserisce nel Novecento anche il concerto diretto ieri sera da Daniel Harding. Con la Filarmonica scaligera in grande spolvero, soprattutto negli ottoni, percussioni e fiati. I Sechs Stücke op.6 di Webern accanto alla trascrizione da Bach incorniciati dall’Idillio di Sigfrido e Tod und Verklärung di Strauss. Harding diffonde su Wagner un sentimento malinconico e struggente di immobile tenerezza. Quasi brume inglesi, nebbie psicologiche oltre che reali. Perfettamente realizzata la geniale trascrizione weberiana per poi rendere con una tensione profondamente ricercata i Sechs Stücke. L’orchestra ha risposto con eccellente attenzione ad ogni sollecitazione. Anche nei momenti più scoperti per le sezioni solistiche non c’è stata sbavatura o calo. Webern, minuscolo concentrato di un mondo a cui si anela e descrittivo dell’orrore dal quale non ci si riesce a proteggere...il suo è un mondo di fibrillante sensibilità. Occorrerebbe sapere quanto Ravel ne avesse conoscenza, soprattutto durante la stesura dell’Enfant et les sortileges. Un mondo iper sensibile di cui è stato maestro Debussy col Pelleas. Il poema sinfonico di Strauss, inserito in quel filone psicoanalitico di cui Harding ha informato tutta la serata, non si è sottratto alla bellezza degli ottoni già ascoltata nei brani precedenti e alla ricerca di pianissimi impalpabili di grande tensione emotiva. Da rilevare il gesto, calmo, tondo, preciso al contempo, mai frenetico.
E’ stata una immersione nella cultura primo novecento viennese, in quel rovello di cui è stato attento indagatore e cronista Canetti. Quella Vienna tradizionalista produttrice delle più ardite avanguardie europee e mondiali.

Riassale la nostalgia delle città italiane visitate in questo anno. O meglio con l’inizio del mio fidanzamento. Roma, spesso, non solo con l’ascolto di brani musicali a lei ispirati (su tutti gli oleografici Pini), ma anche per quanto del secolo diciannovesimo in lei contenuto. Senti ancora D’Annunzio e i suoi personaggi, spinti all’estremo, ma accolti nel placido torpore romano. E dall’alto della scalinata che porta ai Fori, l’infilata di archi statue resti, su su fino al Colosseo. Unica visuale di quel che era stato l’Impero, non dissimile dall’attuale per costumi generali. Ci si aspetterebbe di veder passeggiare nella foggia della scuola di Atene raffaellesca.

mercoledì 15 novembre 2006

Berio, Schönberg e Beethoven alla Scala

Come è stato accolto l’altra sera alla Scala un programma che comprendeva Berio, Schönberg e Beethoven: applausi per le tre Sequenze francamente inimmaginabili fino a pochi anni fa. Se poi ci sia stata reale comprensione della complessità strutturale di Berio, ciò non è dato sapere. Musica apparentemente svincolata dalle leggi tonali, ma che della tonalità è in perenne ricerca. Ricerca di un punto di approdo, o di appoggio per l’orecchio (forse nostra illusione) che rispecchia un generale smarrimento e ansia verso un arrivo che non si vede. Musica tra le più attuali descrittive dello stato d’animo proprio di chi lavora inserito nella realtà milanese. Sembrerebbe quasi scritta per un abitante della grande metropoli lombarda. Fretta, ansia e un velo di pessimismo su tutto. Il canto strozzato, sinonimo poetico del Novecento può essere recuperato anche per Berio. In seguito Pollini analizza i Drei Klavierstucke di Schönberg e la monumentale Hammerklevier. Anche in Schönberg è forte la nostalgia della tonalità, nostalgia viennese, in eco Musil accanto alla sfrontata gioventù onnivora di Canetti: rigore cerebrale e decadenza. Stessa ricerca di forma e analisi in Beethoven, ma senza raggiungere il medesimo risultato da parte del celebre pianista di Rovereto.