lunedì 4 giugno 2007

Leggo, con sempre maggior interesse, i romanzi di Joseph Roth. Vissuto nell'epoca definita Finis Austriae, non si avvale solo del languore decadente di una società al tramonto, più forte di lui in questo è Hofmannsthal, ma accenta con crudezza il periodo della Repubblica di Weimar, feroce, dilaniato, così ben descritto anche in Canetti (al momento della dipartita di tutta la famiglia verso Francoforte): il cambio che oscillava di giorno in giorno, la povertà dilagante, i cortei, gli scioperi, le vessazioni e la voglia di riscatto. Tutto mescolato alla rassegnazione dei reduci, degli sfiniti, di quanti han smesso di porsi domande e di voler continuare, reagire. Allora qui scatta il lato decadente anche in Roth. Quel senso di sfinimento, di umanità gettata alle ortiche. Per poi risvegliarsi, in mezzo ai cortei, dopo un lungo letargo, con più forte il desiderio di rinascita e di vita onesta e sana per tutti. Onestà nel vivere significa per gli umili di Roth poter godere del giusto che la vita dovrebbe riservare. Come vengono annullati i tentativi di quanti esigono affermarsi a discapito dell'umanità, come finisce tutto in fumo, bruciato o azzerato da un improvviso rovescio di fortuna. Roth è dalla parte dell'umile e di chi ha raschiato il fondo nella sua vita.

lunedì 28 maggio 2007

Oggi piove, sabato è passato il Giro da Bergamo tra squarci di sole e minacciosi accumuli nuvolosi. Impazzano le previsioni per l'estate, calda, caldissima, come il famigerato 2003, mite, temperata...annoto qui, al fine di ricordarmelo fra qualche mese, il meteo di questo periodo: siamo passati in breve dal caldo sui trenta gradi a milano (venerdì) al clima autunnale di oggi. I prati e i campi sono già in versione tardo estiva. Il secco dilaga allegramente. Inutile chiedersi cos succederà. Ipotizzo una salita al Monte Bianco mettendo i ramponi forse solo alla Capanna Vallot. Chissà quando ci si salirà come saranno le condizioni. In campo alpinistico si rumoreggia come in tutti gli altri aspetti della vita societaria, chi viene additato a Maitre à penser sguazza nelle pubblicità scalando fantomatiche pareti, travolto da improbabili slavine e scoprendo fonti purissime... A Bergamo l'anziano, se lo è anziano, Bonatti incontra, ed è una ferita forse sanata, il presidente del Cai locale (Valoti Paolo). Non si dimentica degli affronti subiti ormai 50 anni fa, ma abbraccia i suoi concittadini orgogliosi di seguire una ormai antica tradizione alpina. C'è da dire che non hanno avuto, le Orobie, il successo alpinistico delle altre zone: quando scorazzavano gli inglesi per le valli aostane e piemontesi (nonchè trentine e altoatesine), la zona lombarda non era in gran considerazione, se non per le maggiori cime valtellinesi. E' un po' quanto accaduto alle altrettanto selvagge montagne della Carnia e del Tarvisiano. Lasciate a se, amate da locali cultori e affascinati romantici (un nome per tutti: Kugy). Ora si scopre in orobia la natura lasciata libera e serena, accanto alle località di maggior sfruttamento turistico. E' innegabile: dove c'è l'uomo cittadino che investe la natura perde il suo fascino e avanza il cemento. Altrimenti queste valli sarebbero rimaste come le vicine: selvagge, deserte e disabitate. Intuile fasciarsi il capo, lo sci ha portato benefici, ora sta alla discrezione dell'uomo di non esagerare nel costruire e ingigantire comprensori dove si sa bene è inutile investire. E' questione di buon senso. Accanto è bello scoprire valli lasciate come "un tempo" e perdersi nel camminare tra queste. Il bello del girar per monti è che siamo noi a scegliere dove andare e cosa vedere. Nessuno impone alcunchè. E il godimento di panorami dolci, ampi, silenziosi è il maggior premio per una vita altrimenti costretta nei canoni della frenesia quotidiana.

mercoledì 16 maggio 2007

Verismo slavo


Ieri sera per l'ultima replica scaligera. L'opera, di cui non avevo mai ascoltato una nota, mi è persa una novella di Verga trasportata in terra morava. Con tutto il suo corollario di superstizione mistico religioso morale unito a leggi ferree dai cui non si può prescindere, di cui forse Ivo Andric nel suo Ponte sulla Drina ha dato l'espressione più chiara. Il rispetto assoluto e totale per personaggi forti, duri, a cui occorre esclusivamente sottomettersi serpeggia per tutta l'opera. Opera di donne, in cui gli uomini fanno una figura tra il meschino e il babbione. Opera sull'educazione, sulla famiglia, sui rapporti interni, intimi, dello stretto nucleo, segreto tra le mura. Il tutto sorretto dalla musica più strana che mi sia capitato di ascoltare in un'opera. Voce e orchestra si fondono con piani diversi. Orchestra coloratissima, peraltro, dove la tavolozza timbrica sprigiona un senso di arcaica natura, il ciclico ritmo della vita "contadina", l'ineluttabile fato, il color locale, stavolta non sparso per onor di folklore, bensì come necessario, indistricabile dal soggetto. Per cui anche il finale, malinconico, amaro, tristemente rappacificante, si tinge di suoni crepuscolari e popolari, quasi a sentir odor di fieno nell'aria e il ruotare della pala del mulino. Sui cantanti direttore coro e orchestra mi allineo con quanto letto finora: Silja con problemi vari sulla zona acuta e spesso non udibile nel registro grave, Magee molto brava, sforzato ma calzante Dvrosky e con ottimi risultati tutti gli altri. Bene coro e orchestra, violino solista impegnato qua e là in dolcissimi accompagnamenti al canto (bravissmo e dal suono brunito), molto impegnati gli ottoni, splendido l'uso che ne fa Janacek, e bravo il direttore pur senza forse quello scavo maggiore nella timbrica e nella tensione drammatica che ci si potrebbe aspettare. Mi pare che abbia più spinto sul tono elegiaco - malinconico - ineluttabile invece che entrare direttamente nella vicenda sforzando le dinamiche. La regia, sobria, attenta a descrivere i moti dell'animo senza inutili sprechi sia di movimenti che di scene. Buon successo di pubblico con varie chiamate e applausi festanti al termine dello spettacolo. Teatro discretamente pieno e numerosi stranieri estimatori del vino italico in galleria.

venerdì 4 maggio 2007

Melodie d'infanzia


Sarebbe bello riuscire a descrivere quali emozioni l'ascolto musicale dia. Sin da bambino le note, in quelle particolari successioni, pareva mi trasportassero, senza nemmeno osar oppore resistenza, in un racconto senza successione di stati. Ascoltavo e mi pareva fosse una voce lontana, anziana, saggia che parlasse. Molte musiche mi lasciavano una impressione debordante, come se un immenso racconto, un'epopea fosse terminata. Così l'ascolto di una sinfonia, l'ascolto di una sonata, l'ascolto di un'opera. Nell'opera, quanto più mi colpiva erano gli scontri, scontri di personaggi, scontri titanici di voci, scontri destinati a risolversi nell'amore o nell'odio. I duetti, le grandi scene dove i personaggi mettevano a nudo i loro stati d'animo. Più delle scene corali, più delle arie singole era nei duetti, nei pezzi d'insieme che mi sentivo trasportato sin nel cuore dell'opera e nella mente del compositore. Poi crescendo queste sensazioni pensavo si sarebbero affievolite. Invece ciò non avviene, le sinfonie, i quartetti, le sonate, i timbri (organo, legni, fiati, percussioni, tastiere) mi parlano ancora come singole voci, come un lungo immenso racconto, una fiaba ripetuta più volte. Si dipana alla mente la partitura, si apre chiara ed evidente la successione di note. E torna, sempre, con serafica compostezza, il fascino di quel dialogo nascosto, intimo e profondo, che pare risalga a tempi e spazi fuoriusciti dal nostro vivere terreno.

lunedì 16 aprile 2007

Riflessioni classiche

C'è un poeta veneto che fa di tutto per non essere famoso, ma che distilla versi da ormai svariati lustri, con inesauribile lucidità. Pare abbia una cultura non solo classica, bensì aperta alla scienza. Una cultura che può permettere di ampliare lo sguardo su scenari ben più vasti delle semplici questioni poetiche. E' un poeta ancora immerso nell'oggi, come affacciato ad una finestra, però. La finestra di Pieve di Soligo, la finestra della quiete naturale in contrasto al caos delle grosse metropoli, da cui si può con maggior serenità utilizzare il cervello senza il circostante frastuono. Ha scritto di tutto e con forme le più disparate. Si interroga e si fa interprete acuto e distanziato di quanto accade.
Leggendo le Odi di Orazio ci si accorge di una cifra stilistica fondamentale, la necessità di essere immersi nella storia del proprio paese. Orazio che cerca di distanziarsi dalla logica imperiale, celebrandola di riflesso, in chiave "minore", Orazio che si allontana dal mondo attivo per godere degli amori e del vino, ricade, ogni istante, nel ricordo delle gesta eroiche, delle battaglie vincenti, dei fasti e delle sconfitte. Per allontanarsene come elastico che ritorna poi su se stesso. E rimane attuale in ogni suo carme
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venerdì 6 aprile 2007

Panorami orobici


Ci si affaccia alla primavera, dopo un inverno particolare. Per assenza di neve, per mancanza di freddo... A metà marzo, in cima al Resegone, la vista spaziava sulle cime della Valtellina, sino alla Svizzera, al Monte Rosa, Cervino e alle nebbie padane. E per i pascoli sottostanti la dolcezza tipica dell'ambiente lombardo si spandeva lieve. Silenzio della Val Imagna, dal cielo lattiginoso, ricca di boschi e prati. Si immagina dalle architetture un progresso lentissimo e impercettibile. Le insegne dei negozi rimaste a una trentina di anni fa. Viene in mente più di un passo scritto da Gavazzeni sulla sua valle originaria: la più selvaggia delle valli bergamasche. Il ricercare un Dio risiedente solo tra le gole, i prati, le cime e i ruscelli vallivi. Un Dio locale espressione della fede di cui si ha luce nelle chiese poste in posizioni rilevanti, a difesa del paese e della valle. E il Resegone, simbolo e figura amata nella Lombardia. Percorso dalle infinite creste su cui ormai più di un secolo di alpinisti e appassionati si sono arrampicati e ne hanno fatto sede stabile di escursioni. C'è chi, di Milano, conosce meglio queste creste che la propria città.

giovedì 15 marzo 2007

Encore...


Sempre su Gide (in attesa che la mia art-designer inserisca tante belle immagini).
Il personaggio di Michel ha avuto un percorso educativo che lo distoglie da tutto quanto è il mondo. Educazione seria e rigorosa da parte materna, dedicata agli studi filologici attraverso gli interessi paterni. Pubblica in giovanissima età e vive di quel successo, successo mediato da uno stratagemma: la pubblicazione avviene a nome del padre. Poi la scomparsa di entrambi i genitori e il matrimonio. Un matrimonio con un'amica di infanzia, giovane, simpatica, dolce, riflessiva. Ma che lui probabilmente non ama, o meglio sente di non amare. E il viaggio di nozze, la prima volta in giro per il mondo (costa africana) senza necessità o motivazioni di studio, come invece prima gli era capitato. Ecco, a Michel la vita era capitata addosso. In Africa la scoperta della bellezza, della libertà e della vita. L'attrazione per la moglie emerge a momenti, in particolari casi di esaltazione, ma c'è anche forte l'attrazione per i ragazzini locali, giovani scaltri e furbi da cui lasciarsi incantare e "fregare". La bellezza antica, artistica e legata alle precedenti ricerche non lo attrae e incanta come prima. Poi la malattia polmonare, la tubercolosi e da li la voglia prepotente di vivere. Ora, combattendo con tutte le forze la malattia, si riappropria della propria vita e non se la lascia più scivolare addosso. Una volta ristabilitosi si ha il ritorno in Europa con un tour tipicamente ottocentesco: Sicilia, costiera amalfitana, città d'arte. E ritorna la voglia degli studi e della Francia. L'attrazione per i personaggi antichi che han rotto con la famiglia. La volontà di affermarsi. Da qui nasce e si sviluppa il germe di tutto: trasferimento in un luogo ameno per sfuggire la stupidità degli amici altolocati, il mettersi in combutta con bracconieri e gente della peggior specie, sfuggire sistematicamente ai propri impegni coniugali, salvo poi, per tutto lasciarsi prendere da ineluttabili rimorsi di coscienza. Sempre di fronte il volersi affermare a discapito della propria famiglia. Il voler andare contro quei fantasmi. La necessità di liberarsi da tutto ciò porta alla morte della moglie per tubercolosi. Spinto dall'ansia di ritornare in Africa, quasi ristabilitasi la moglie, il clima e i lunghi viaggi a cui non sapeva dare requie la portano ad aggravarsi e morire, quasi sola, mentre Michel si divertiva con la compagna di un ex ragazzino frequentato al tempo del suo primo viaggio 8e forse anche con lui stesso). Raccontata tutta la vicenda ad amici non sa far altro che descriverla, come narratore esterno, secondo le leggi ferree della necessità cui non si può derogare. Necessità di vivere libero da tutto, da tutti i legami e spinto solo all'affermazione di se. Rimanendo sempre lo spauracchio di doversi confrontare con altri, fantasmi.

martedì 13 marzo 2007

Gide, L'Immoraliste




Letto con appassionato interesse L'immoralista di Gide. Nel corrosivo e sottile parossismo superomistico in stile dannunziano liquida con sicurezza e per sempre il delirio di onnipotenza dell'uomo fabbro di se stesso. E' un uomo che si ridicolizza sperandosi superuomo nell'amministrare un possedimento materno, nell'andare in combutta coi bracconieri, nello scappare di casa nottetempo lasciando la moglie malata di polmoni (altra illustre malata nel panorama del primo novecento) a letto, interessandosi alla vita bieca di soggetti brutali e volendo identificarsi nella loro assoluta libertà. E quando si trova di fronte alla realtà non può far nulla che rileggerla quasi come osservatore esterno. Il personaggio in questione arriva, tra l'altro, da una gioventù devota agli studi e allo stare rintanato in casa. La scoperta del mondo avviene col matrimonio e la discesa nelle terre africane. La malattia li contratta (e che poi trasmetterà alla moglie) lo costringerà a far forza in sè e a liberarsi di tutto per poterla combattere. Ma la sua volontà di affermazione, senza un metro di paragone, se non il passato e gli insegnamenti familiari, si irradia senza sosta in ogni angolo, si pasce della connivenza coi ragazzini, ammirati e da cui si fa fregare in ogni modo, si pasce nell'assaporare voglie extraconiugali, gode nel sentirsi in contatto panteistico con la natura. E lo fa soffrire, nella misura in cui si accorge di quanto male fa intorno a se, alla moglie per prima. Ma la sofferenza non lo arresta, deve pur vivere per se stesso. E' giusto, nella sua mente, forzare le cose sempre in posizione totalmente egoistica. Perchè è lui che deve vivere, per se, senza regole passate e precostituite, ma solo con le regole dettate dal proprio interesse e dal momentaneo piacere.
E' uno dei tanti romanzi sui mali creati dalla famiglia, sul male della famiglia, su come l'educazione possa sconvolgere le menti sino a porle in contrasto interno con se stesse e con quanto appreso sino a quel momento. Un fantasma con cui confrontarsi e dal quale non si riesce a liberare, se non attraverso una disperata quanto inconcludente affermazione di sè.

lunedì 5 marzo 2007

Sliding doors

Attraversare in silenzio il quotidiano ed osservare i moti umani, in silenzio comprendere le spinte, le necessità, il perchè infine delle decisioni, quasi a tracciare una sorta di mappa della civiltà costruita su tanti minuscoli tasselli. Forse la speranza eterna che immutata si ripete da millenni in tutti quanti han sentito la necessità di fissare su carta la parola risiede proprio in questo: trovare, al termine della lunga analisi, il perchè dei tanti infiniti bivi a cui si è data risposta.

giovedì 15 febbraio 2007

Memorie di un cammino

E l'altra nostalgia, assoluta, che prende tutto te stesso deriva dal Cammino di Santiago. Si vorrebbe riassaporare il tempo, i gesti, i singoli istanti che, pur per breve tempo, hanno lasciato sensazioni altrove inattese. E' quel profumo della meseta, spianata e silenziosa, battuta dal vento e dal secco, riarsa e che conserva in se stessa solo sparsi cespugli e alberi forti. Il silenzio del mattino inseguendo le ultime stelle, quel colore rosastro che ricopre i monumenti, si arrampica per i muri delle chiese, si stende per l'ambiente intorno. Incontrarsi dopo una giornata, le risate e il confronto tra ansie e gioie. Infine lo splendore delle chiese, vere cattedrali nel deserto, immobili e suggestive per la caratteristiche dello sfarzo e della bellezza in un ambiente da cui non ci si aspetterebbe tanto. Testimonianza di una storia secolare. Parrebbe sempre di vedere qualche Borbone dall'alta corgiera aggirarsi per le vie e i palazzi. Ma su tutto il dedicare un'intera giornata a raggiungere la prossima meta, senza alcun altro scopo, senza nessun'altra ansia. Solo camminare, muoversi, osservare. In breve, penso, vivere.

mercoledì 7 febbraio 2007

Storia urbana


Si vorrebbe avere una città ideale, una città che si possa vivere tranquillamente. Non è vero che a Milano (o provincia) manchino le proposte. Esistono, ma ne è difficile la fruizione. Basta scorrere gli appuntamenti del giorno su un quotidiano: tra teatri, mostre e quant'altro. Il tempo per seguire ciò che avviene nella città, forse di questo si necessita.
Trovare poi anche la bellezza in Milano: Lambrate, Corvetto, Rogoredo...immaginarli com'erano, borghi alle porte della grossa città. Ora tutto è immerso tra svincoli autostradali, passanti ferroviari e nuove realtà residenziali. Fa ridere vedere vecchie immagini, ambienti scomparsi del tutto. Sopravvivono angoli, relitti di cui ci si chiede come abbiano fatto a rimanere: cascinali, chiesette, minuscoli corsi d'acqua (un tempo ben denominati e conosciuti da chi amava pescare rane), orti in posti impensati, icone votive con piccoli lumini. E in centro, quasi nascosti, del tutto impossibili da visitare si mantengono i giardini delle case patrizie, impensabili nella zona tra via della Spiga, via Solferino, sino a corso Monforte e degradanti verso Porta Romana. Relitti di selciati per carrozze e cavalli si alternano nelle vie invece attorno alla Cattolica e Sant'Ambrogio, dando l'idea, quelle viuzze, di cosa poteva essere la Milano medioevale di cui non si ha pressocchè più traccia. E il Verziere, con piazza Santo Stefano, luogo immortalato dalla acuta denuncia sociale del Porta, ora divenuto pieno centro e zona tra le più care a livello immobiliare. Si ripensa a quale era invece la fama in negativo del Verziere, come dire Baggio oggi.
E sprofondare nella nebbia giallastra dei Navigli, giù giù aperti verso la campagna, il lodigiano e pavese rigogliosi di marcite e risaie, tra il lento posarsi di aironi.

martedì 6 febbraio 2007

Eterna Salome


Ascoltata la Salome di Strauss in una lussuriosa esecuzione live da Salisburgo (Karajan, Van Dam, Behrens). Ci si potrebbe chiedere come il teatro di Strauss riesca a reggersi su alcuni fondamentali punti tematici: qualsiasi opera si tratti emergono i salti discendenti degli archi, le frasi lunghe e lucenti dei corni, i sussurrii dei fiati con salti di quarta. Affascina la tinta notturna, sensuale, il dialogare antico, da commedia plautina dei personaggi: Erode e i suoi accoliti, Erodiade, i vari militi presenti. Affascina il lento, lontano salmodiare di San Giovanni (un Van Dam in forma eccezionale).


Ma forse si potrebbero cambiare le situazioni, i personaggi, lo sfondo sociale arcaico con qualche altra vicenda, ambientarlo in un carcere ottocentesco, con personaggi tra lo scapigliato e il quarantottesco, o in una Venezia settecentesca, ancora ripensare la Salome immersa nelle lotte tra guelfi e ghibellini, o infine nella Vienna di Schiele e Kokoscka. Cosa cambierebbe nella musica? Non resterebbero sempre immutate le frasi vocali e orchestrali?

giovedì 1 febbraio 2007

Nostalgia canaglia

Si vorrebbe far credere il mondo di oggi peggiore di un antecedente. Peggiore per cultura, etica, morale, educazione. Ci si dimentica quali orrori può vantare il recente passato. L'utopia è crederli superati. Basterebbe mandare a mente la breve poesia di Montale sulla storia (percorsa da corrosiva ironia).

Sempre su Montale, mettere a fuoco caratteri propri dell'opera lirica e di singoli titoli attraverso le sue recensioni permette di uscire dagli stretti paletti della musicologia o della più pedestre critica musicale. Come basti una sua sola frase per delineare un compositore, un personaggio o un titolo.

giovedì 18 gennaio 2007

Disastri

L'uomo, inteso come essere umano di sesso maschile, riesce di solito a combinare guai colossali e a disinteressarsi di quanto c'è a lui intorno. Le donne di solito godono di un trattamento peggiorativo in questo senso. Senza di loro comunque, comunque siano trattate, l'uomo resterebbe del tutto inutile come essere sulla terra. E' la presenza femminile che rende una qualche validità all'uomo. Peccato che sia ripagata in sola sofferenza.

venerdì 12 gennaio 2007

I fantasmi della psiche


In casi giornalistici dai quali si conosce la realtà violenta sorta, quasi incomprensibilmente, nelle abitazioni, nella vita di ogni giorno, solo la psicanalisi può dare una risposta, ma è insondabile, infine, il perchè ultimo, la scaturigine del malessere. Ma è anche realtà per la quale scrittori, musicisti, poeti e pittori si sono dibattuti e arovellati per secoli. Su tante possibili creazioni artistiche campeggia quel Wozzeck, il Woyzeck ottocentesco di Büchner, nel quale si possono vedere riassunte tutte le tragedie del nostro trascorso secolo. Il Novecento, definito il secolo breve, forse più propriamente il secolo delle immani tragedie e della devastazione della psiche umana. Ci si potrebbe chiedere come ha fatto l'uomo a sopravvivere a un secolo di orrore, il secolo contro la dignità del'uomo e a trovare la forza per continuare. Il punto iniziale, l'anello che salta, il perchè dello scatenarsi della violenza nella mente di chi la compie, frutto di un percorso tortuoso, di un vissuto non accettato, rimane sempre un mistero, ma di certo non può giustificare da solo l'accanirsi violento, assurdo, spietato verso l'esistenza di un'altra persona.

giovedì 11 gennaio 2007

Città che vivono

Terminata la lettura dell’ultimo volume pubblicato l’anno scorso di Canetti. Postumo, ricostruito con pazienza filologica da una serie di appunti già ben strutturati, ma che conservano degli appunti lo stile e la brevità. Rispetto alla tragicità grottesca e psicanalitica della Vienna pre-bellica ne esce un ritratto ben più pacato e disteso come clima, nonostante si trattasse dell’Inghilterra durante la guerra.

In giro per Milano si avverte il consueto nervosismo e ansia di fare tutto contemporaneamente, senza tralasciare nulla e organizzando bene anche i pochi momenti di riposo. E’ ansia tipica milanese, quella di organizzare il tempo, nordica si direbbe, propria comunque della regione lombarda più esasperata dal punto di vista produttivo. Si vorrebbe rallentare, spezzare questa catena, fare in modo che il poco a disposizione della vita personale di ognuno scorra con ritmi diversi, lasciando al tempo lo spazio di riappropriarsi del proprio lento fluire. Lasciando libera la mente di vagare senza ostacoli di necessità fittizie. Al tardo pomeriggio attendere nel silenzio l’arrivo della sera, lasciarsi avvolgere dal calmo allungarsi delle ombre, dal lento, incerto accendersi delle luci nelle case e per le vie, col silenzio della natura intorno che diventa sempre più forte.