martedì 5 dicembre 2006

La Prima


Impazza, come sempre, l’attesa per la prima scaligera. Che si voglia o no rimane l’avvenimento più atteso dell’anno in ambito musicale. Discussioni circa l’originalità della regia zeffirelliana, gli acuti del tenore, le qualità del soprano e i tempi del direttore. Andando a rileggere cronache risalenti alla prima metà del ‘900 non si notano differenze sostanziali: cambiano, forse, solo le pettinature e gli abiti delle dame. Alcune, per altro, ancora presenti e arzille nonagenarie. Ci si domanda sul futuro della Scala e dell’opera in generale. Un gustoso e acuto articolo di Massimo Mila, datato sul finire del 1945, riassume quali siano i problemi legati al teatro d’opera: le voci, la scuola, il vivaio di giovani e le regie costose. Dov’è il rinnovamento, sempre che sia necessario? Un rimestare problemi di vecchia data, utile a riempire le pagine dei quotidiani.

Da un breve saggio sulla poesia di Rebora a cura di Mario Luzi si riallacciano le fila di una linea lombarda mediata attraverso Firenze. Il primo Novecento come fucina di quanto pian piano si è ampliato e diramato sempre più consapevolmente nello scorrere del secolo. Scaturigine ne è Firenze, città da cui passavano almeno per qualche mese gli artisti alla ricerca di un confronto su cui crescere. E poi Milano. Il futurismo, non solo preannunzio, travisato, del fascismo poi, ma anche rottura totale, lancinante che conserva della gioventù la forza di ribaltare l’esistente. Sino a riportare nella regione natia, o nella regione che più da possibilità di impiego, quanto assimilato dall’esperienza fiorentina. Anche per Montale vale lo stesso e non lo si immaginerebbe altrove, fuori dalla cerchia di via Bigli – via Solferino.

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