mercoledì 15 novembre 2006

Berio, Schönberg e Beethoven alla Scala

Come è stato accolto l’altra sera alla Scala un programma che comprendeva Berio, Schönberg e Beethoven: applausi per le tre Sequenze francamente inimmaginabili fino a pochi anni fa. Se poi ci sia stata reale comprensione della complessità strutturale di Berio, ciò non è dato sapere. Musica apparentemente svincolata dalle leggi tonali, ma che della tonalità è in perenne ricerca. Ricerca di un punto di approdo, o di appoggio per l’orecchio (forse nostra illusione) che rispecchia un generale smarrimento e ansia verso un arrivo che non si vede. Musica tra le più attuali descrittive dello stato d’animo proprio di chi lavora inserito nella realtà milanese. Sembrerebbe quasi scritta per un abitante della grande metropoli lombarda. Fretta, ansia e un velo di pessimismo su tutto. Il canto strozzato, sinonimo poetico del Novecento può essere recuperato anche per Berio. In seguito Pollini analizza i Drei Klavierstucke di Schönberg e la monumentale Hammerklevier. Anche in Schönberg è forte la nostalgia della tonalità, nostalgia viennese, in eco Musil accanto alla sfrontata gioventù onnivora di Canetti: rigore cerebrale e decadenza. Stessa ricerca di forma e analisi in Beethoven, ma senza raggiungere il medesimo risultato da parte del celebre pianista di Rovereto.

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